Alcune riflessioni sull’incentivazione al consumo di alcolici

Alcol “attivo” e “passivo

Con questa comunicazione intendiamo fornire alcuni spunti di riflessione sul tema dell’abuso di alcolici. Come genitori vogliamo infatti mantenere desta l’attenzione verso un problema che crediamo debba essere affrontato tempestivamente e con forza andando oltre all’effetto mediatico suscitato da una iniziativa locale.

E’ un dato di fatto.
Tutti ormai siamo abituati al settimanale bollettino di guerra (i paragoni tra i morti sulle strade ed altre forme si massacro si sprecano). Né ci scuotono più di tanto le voci ricorrenti di chi afferma che così non si può più andare avanti ed è ora di intervenire con decisione, ben sapendo che gli eventuali inasprimenti delle sanzioni resteranno tali solo sulla carta se, parallelamente, non si incrementano i controlli attuandoli con continuità. Siamo inoltre vaccinati verso chi, pur di deviare dal discorso, si lancia nel balletto delle responsabilità. Dai gestori che non vanno criminalizzati, alle famiglie che non sanno educare; dalla scuola spesso ostaggio degli studenti (e talvolta anche dei genitori), ai modelli educativi sbagliati proposti dalla società (contro i quali tutti puntano il dito, ma guai tentare di rimuoverli). Per arrivare infine ai ragazzi troppo spesso giustificati e scarsamente responsabilizzati.

Per fronteggiare il fenomeno noto come “le stragi del sabato sera” le proposte si concentrano, sull’applicazione di deterrenti finalizzati a ridurre il numero dei morti sulle strade. Tra queste citiamo:
– l’inasprimento delle sanzioni, supportate da un aumento dei controlli,
– la riduzione dei limiti di velocità e la limitazioni di cilindrata per i neopatentati,
– l’innalzamento dell’età minima per la guida di motoscooter e motocarrozzette,
– l’agevolazione degli spostamenti da e verso i locali notturni,
– la promozione di iniziative simboliche sul tipo di “un sabato notte senz’auto”,
– l’emanazione di codici di autoregolamentazione degli esercenti,
– l’adozione del “braccialetto” del guidatore…
ed altre dello stesso tenore, con l’attenzione rivolta principalmente alle possibili conseguenze del dopo aver bevuto. Basta pensare al consiglio, da più parti ripetuto: “se vi muovete in gruppo decidete prima chi dovrà guidare al ritorno: quello prescelto quella sera non beve”. Accettando, implicitamente, che gli altri possono ubriacarsi come ciuchi.

Il problema sta a monte.
Agendo in questo modo si distoglie l’attenzione dall’esigenza di creare le condizioni perché eccedere nel bere sia socialmente considerato una cosa da “sfigati” (come dice la Littizzetto). Pensate a quanto sia diseducativo il messaggio lanciato da quella pubblicità secondo la quale sei “nella festa” solo fino a quando tieni il bicchiere in mano. Anche la proposta di adibire ai servizi sociali chi guida in stato di ebbrezza (che provochi o meno incidenti) va nella stessa direzione. Si tratta di una misura pienamente condivisibile e certamente più efficace di altre sanzioni (la multa o la galera aumentano il rancore, ma non la sensibilità verso il problema). Questa forma di sanzione a fini rieducativi può effettivamente rendere consapevole un “incosciente” delle sofferenze che la bravata di un momento può causare (passare qualche mese accanto a un invalido, o in servizio su di un’ambulanza, può far si che alla prossima occasione si stacchi il piede dall’acceleratore, o si rinunci all’ultimo bicchiere). Ma si tratta pur sempre di “far strisciare il muso del cane nel suo piscio”. L’educazione deve invece intervenire prima che “il cane pisci”.

Scardinare il binomio “alcol = divertimento”.
Più bevi e più ti diverti. Questo è il vero nodo da sciogliere. Ciò che serve è un cambio di paradigma, una nuova cultura da instillare con l’educazione in famiglia e nelle scuole. Con l’esempio degli adulti, il sostegno dei media ed una coerente applicazione pratica nelle proposte di svago. E’ inutile chiedere al gestore del bar o della discoteca di offrire, al posto degli alcolici, “piadine” a volontà per pochi euro, se nessuno crea, prima, una cultura della “piadina”.

Che fare allora?
Sono due le chiavi di lettura. Da affrontare separatamente, con interlocutori diversi, e diverse tempistiche:
1. l’abuso di alcol fa male a chi lo consuma (crea dipendenza e provoca danni permanenti alla salute),
2. l’abuso di alcol fa male anche a chi non ha bevuto (chi si ubriaca rappresenta un pericolo per la comunità)
Questa distinzione non vi fa venire in mente la problematica connessa ai rischi dovuti al fumo attivo e quelli legati al fumo passivo? Sono stati combattuti entrambi e con risultati più che soddisfacenti. Con modalità diverse ed attuando iniziative tra loro svincolate. Educazione, messaggi sociali e revisione dei criteri pubblicitari da un lato; divieti, limitazioni e sanzioni dall’altro. Perché non fare altrettanto con l’alcol? Se il fumo passivo è stato affrontato per secondo, l’alcol passivo (quello che ti fa schiantare contro un platano, o ti fa portare la sofferenza all’interno di famiglie con le quali non avevi nulla da spartire), può venire trattato per primo. Applichiamo pure le sanzioni e vediamo se si ottengono gli stessi effetti riscontrati in altri paesi europei, dove le statistiche dicono che nessuno si ammazza più tornando a casa dai locali di divertimento. Ma non dimentichiamo che a monte esiste il problema dell’alcol “attivo”.

Tuteliamo i minori.
E’ inaccettabile sostenere che, non potendo pretendere l’esibizione di un documento, si deve dare da bere a chiunque lo chieda! Se il cliente si rifiuta di dimostrare di essere maggiorenne non gli va servita la bevanda, semplice. Lo stesso sistema va applicato nelle tabaccherie, nei supermercati, o negli autogrill. Ovunque la legge preveda delle limitazioni alla vendita. Rammentiamo tuttavia che i morti sulle strade li causano i maggiorenni, dato che alla guida ci dovrebbe stare chi ha già la patente. E allora non è un fatto di età se lo leghiamo alle morti sulle strade. Ma diventa il primo dei problemi se lo leghiamo ai danni per la salute.

Etica e morale o solo business?
Gli esercenti (bar, club, discoteche) hanno l’utile economico come finalità prevalente e l’utile lo si consegue catturando i clienti (magari sottraendoli alla concorrenza) e fidelizzandoli avvalendosi di ogni mezzo che la legge non vieta espressamente. Inutile stare a discutere di etica e di morale, è solo business. D’altronde il barista vende il prodotto che il cliente gli chiede. Non ha senso che offra piadine a chi gli chiede alcol. E se la legge autorizza quell’esercente a vendere alcol, allora la stessa legge gli imponga regole rigide e controlli accurati e continui. Leggi ce ne sono (e se mancano si possono sempre scrivere), sia sulla pubblicità (imporre le scritte che l’alcol uccide più del fumo sarebbe il minimo da fare), sia a maggiore tutela dei minori, sia sulle modalità di mescita. Basta farle rispettare.

L’alcol “attivo”.
Se al tavolo “delle stragi” siedono le forze dell’ordine, le autorità amministrative ed i rappresentanti del settore trasporti, al tavolo “della salute” non potranno mancare rappresentanti dell’istruzione e della sanità. Trasversalmente, su entrambi i tavoli, esercenti e famiglie. Al sitin di febbraio qualche giovane avventore ci invitava a lasciar perdere gridando: “Andate a casa, astemi!” con l’evidente intenzione di connotare negativamente, come se fosse un insulto, la parola “astemi”. E’ questo il vero punto di partenza. Il nuovo paradigma dovrà prendere vita dalla riqualificazione di quel termine, facendo nascere una nuova cultura, nuove abitudini alimentari. Sociologi e psicologi dovranno convincere i ragazzi che bere non solo fa male, ma è fuori moda e sinonimo di impotenza. Roba da “sfigati”, appunto, gente che nessuno di quelli che contano “si filerebbe mai”.

Reggio E. aprile 2007

Un Sasso nello Stagno